Il mio amico Ghika mi accompagna a visitare le rovine al buio e accende fiammiferi per mostrarmi i simboli misteriosi incisi sulle pietre. Che faccia buio alle sei di sera è uno di quei fenomeni difficili da credere, malgrado la loro evidenza. “In grecia non è mai notte” ha detto un francese “c'è solo l'assenza del giorno”. Questo può essere vero in astratto, ma non è vero in posti come Micene o Eleusi. Al contrario, a Eleusi ci sono tenebre più profonde della notte. Eleusi è avvolta in un manto funebre come il grembo di una gestante in lutto. Secondo me, il posto è stato scelto proprio per la sua oscurità.
Siamo arrivati in paese al tramonto, in una veloce e silenziosa Packard. Nessun cielo è mai stato più pieno di colori di questo. La luce si estingue in una vivida vampata di striscioni fiammeggianti. Poi, il buio improvviso, l'annientamento della luce. La morte, seguita dalla resurrezione. Dopo il verde straordinario del tramonto, un lago di muschio che affonda, l'unico tono visibile è il color ruggine dei gradini consunti, un marrone da vecchio abito da frate, una patina di cera misteriosa che eccita la retina. Le rovine affondano, non nella notte, ma nel tempo, nel pozzo scivoloso del passato, da cui ogni giorno la luce si sforza di salvarle.
Anche l'archeologo – questa infaticabile bestia da soma, talpa, verme, asino, pedante, schiavo – anche questo mostro sembra ammettere la sconfitta. Il mistero rifiuta di arrendersi alla vanga e alla storta del chimico. Gli uomini dovranno sviluppare altri mezzi, altri organi di comprensione e di discernimento. Eleusi è grande nella sua oscurità. Una grandezza sommessa e ispiratrice, una calda intimità, un'immediatezza umana, troppo umana. E' l'antitesi del mistero indù o tibetano, anche se è nel ridursi a proporzioni umane che l'uomo ha creato l'attitudine greca al mistero. Qui si percepisce che il tempio dello spirito è un'abitazione costruita dalla mano dell'uomo.
In luglio questa è stata la mia prima impressione di Atene. Le cose che mi hanno colpito sono state le chiesette di forma bizantina, e in particolare una, sprofondata nel terreno, della misura giusta per il culto umano. Per la stessa ragione, mi hanno attratto anche i nuovi edifici pubblici sulla via dell'Università. E all'Acropoli – i piccoli templi – delle vere gemme. Il Partenone, invece, mi lascia freddo.
E' stupido dirlo, ma io preferisco il Theseion. Amo la sua forma tozza. Mi sento a casa. Il Partenone ti chiude fuori, forse più per la sua perfezione che per le dimensioni. Mi piace molto di più da lontano – dall'Eden, per esempio – il primo sguardo dopo la curva. Da questa distanza è un incanto. L'edificio che mi esalta di più, naturalmente, è la tomba di Agamennone. Qui c'è un elemento che manca al Partenone – il mistero. Per me questa tomba si colloca come la costruzione più grandiosa, più entusiasmante fatta dall'uomo. Quando sono entrato dall'esoterico portale ho sentito che ero in presenza di spiriti magici. Altri eroi del passato possono essere morti. Agamennone - per me - è vivo. Se si resta in silenzio si sente la sua voce. Non era un semidio, - come dicono i libri – era un dio vero e proprio e continua a vivere, anche da morto, spirito più potente di tutti i conquistatori della terra. Il suo corpo non avrebbe dovuto essere spostato. Tuttavia, è stato spostato solo il corpo materiale. Se voi pronunciate piano il suo nome stando in piedi in un certo punto della tomba, egli vi risponderà. (Katsimbalis è testimone del fatto).
Il corpo immortale di Agamennone è ancora là nella cripta che odora di morte, permeata del sentore del suo corpo, che niente può eliminare. Quello che voglio dire, e lo ripeto pù volte, è che fra questa età d'oro e quella di Pericle c'è un vuoto incolmabile. Nell'arco di una dozzina di secoli è stato distrutto il corpus della magia. Gli africani sono più vicini ad Agamennone, nello spirito, che i membri delle società civilizzate. Per gli africani, l'anima è esteriorizzata – non ha ancora trovato un luogo di riposo, una dimora, nel tempio dell'umanità. Agamennone, lo sento, incarnava la sua anima. E questo abbraccio era l'ultimo legame fra l'uomo e il cosmo. Ha messo l'essere umano al centro, gli ha dato una posizione e delle proporzioni cosmiche. Da allora il centro è stato spostato. Noi funzioniamo secondo un asse polarizzato obliquamente. Niente illustra in modo più vivido la distanza fra quel tempo ed oggi della guerra presente. La differenza fra una guerra corpo a corpo e una guerra astratta è che, nello shock dell'abbraccio mortale di un tempo, c'era un'unione con la morte che dava frutti.
Oggi le morti sono solo statistiche. Ne è la prova la tomba del Milite Ignoto. I nostri eroi sono anonimi. Non ce n'è uno di cui possiamo onorare la memoria, non c'è uno spirito da salutare. Siamo davanti ai resti sparsi di un corpo, il corpo di un uomo la cui identità è andata perduta. “Noi, che stiamo rapidamente perdendo la nostra identità ti salutiamo, o uomo senza nome!” Combattiamo nell'aria come dei grandi avvoltoi. Distruggiamo intere popolazioni premendo un bottone. Il nemico è ovunque, animato e inanimato. Tutto ispira paura, angoscia, panico. Combattiamo contro le nostre ombre – una specie di guerriglia con i fantasmi. Questa è la civiltà. Questa è l'Età dell'Acciaio, così concreta all'esterno, così astratta all'interno. Le costruzioni più possenti sono come delle bolle di sapone. Un soffio può abbattere una fortezza. La mano di un bambino può spazzare via secoli di sforzi. Idiozia. Pura idiozia.